Mi imbatto in un interessante articolo su Il Post, al riguardo del diritto alla privacy e soprattutto alla possibilità o meno per le autorità di accedere a quella incredibile raccolta di dati e metadati sulla nostra vita ordinaria, che tutti ci portiamo in tasca: sì, il telefono cellulare.
La lettura del pezzo è molto interessante, perché sfata pacatamente alcuni miti nei quali ancora siamo imbevuti, che distorcono un po' la realtà: L'Europa non sembra in effetti così avanti nella tutela dei dati personali rispetto agli Stati Uniti, anzi. Certo, una tutela che a volte vorremmo non ci fosse, come quasi saremmo tentati leggendo proprio i due casi dell'articolo, che hanno per oggetto non immacolati personaggi (facendo finta che esistano...), ma due - possiamo dirlo - delinquenti, ma non per questo menu umani di ognuno di noi, non per questo meno oggetto di diritti come ognuno di noi.
Quello che si evince, anche e soprattutto, è la conferma di quanta vita viene trattenuta quotidianamente in queste piccole scatoline che ci portiamo appresso, e che effetti imprevedibili può suscitare il loro (più o meno inopportuno) disvelamento.
Sì, viene da pensare a Perfetti Sconosciuti, quel film di qualche anno fa che mise benissimo a tema esattamente questo argomento: lì una situazione apparentemente tranquilla (una cena tra amici) esplode letteralmente in una rete fittissima di conflitti, delusioni, risentimenti... tutto per un tranquillo giochino, che consiste fondamentalmente nell'aprire il flusso informativo in arrivo sugli smartphone, elidere la privacy anche solo per poche ore, per "dimostrare" di non avere segreti. Devastante (ma bellissimo, il film).
Mi chiedo, forse è violenta in sé la pretesa di non avere segreti, grandi o piccoli, o cose che comunque se lette da un'altra persona, fuori contesto, potrebbero dispiacere, potrebbero aprire ferite. Forse è una pretesa inutilmente dura quella di non avere zone d'ombra, una hybris totalitaria dalla quale dobbiamo difenderci?
Chissà. Intanto la tecnologia continua ad interagire con il mistero dell'uomo, aprendo nuove (ed antiche) questioni.
Tutte da vivere.
Quello che si evince, anche e soprattutto, è la conferma di quanta vita viene trattenuta quotidianamente in queste piccole scatoline che ci portiamo appresso, e che effetti imprevedibili può suscitare il loro (più o meno inopportuno) disvelamento.
Sì, viene da pensare a Perfetti Sconosciuti, quel film di qualche anno fa che mise benissimo a tema esattamente questo argomento: lì una situazione apparentemente tranquilla (una cena tra amici) esplode letteralmente in una rete fittissima di conflitti, delusioni, risentimenti... tutto per un tranquillo giochino, che consiste fondamentalmente nell'aprire il flusso informativo in arrivo sugli smartphone, elidere la privacy anche solo per poche ore, per "dimostrare" di non avere segreti. Devastante (ma bellissimo, il film).
Mi chiedo, forse è violenta in sé la pretesa di non avere segreti, grandi o piccoli, o cose che comunque se lette da un'altra persona, fuori contesto, potrebbero dispiacere, potrebbero aprire ferite. Forse è una pretesa inutilmente dura quella di non avere zone d'ombra, una hybris totalitaria dalla quale dobbiamo difenderci?
Chissà. Intanto la tecnologia continua ad interagire con il mistero dell'uomo, aprendo nuove (ed antiche) questioni.
Tutte da vivere.